lunedì 7 novembre 2011

NON FERMIAMOCI

La nostra iniziativa ha dato speranza a molti testimoni di giustizia che ci stanno contattando e ci raccontano la loro tragica situazione.


Uno scenario sconvolgente che noi stessi non conescevamo così a fondo.


Qui di seguito pubblchiamo l'appello disperato di Luigi Coppola e il racconto dei coniugi Candela.
Preghiamo tutti coloro che ci leggono di firmare e divulgare la petizione, che solo nei primi giorni ha raggiunto le 300 adesioni.

http://www.petizionionline.it/petizione/tutela-per-i-testimoni-di-giustizia/5444


Messaggio di Luigi Coppola:
SALVE SONO UN TESTIMONE DI GIUSTIZIA, CHE VIVE IN LOCALITA' DI ORIGINE (......) NON VOGLIO ANNOIARVI CON UN LUNGO ROMANZO, SI PERCHE' LA MIA STORIA PER SPIEGARLA CI VORREBBERO PAGINE E PAGINE, vi dico solo che alla data odierna non ho potuto far mangiare moglie e figlie, la mia unica speranza che mi resta e togliermi la vita .,,,,,,,,,,,,luigi coppola tel 339.....
N.B.: PER SINCERARVI BASTA ANDARE SU GOOGLE E DIGITARE luigi coppola testimone di giustizia


Messaggio dei coniugi Candela:
Carissimi amici, siamo Antonino Candela e la moglie Francesca, entrambi testimoni di giustizia (testimoni oculari). Siamo contenti della vostra iniziativa “Libertà e giustizia per i "testimoni" coraggiosi”. Firmiamo tutti la petizione! Grazie a voi tutti, perché fate una cosa data col cuore nel fare questa petizione. I Testimoni di Giustizia vivono una vita insolita, stramba, piena di disagi, piena ingiustizie soprattutto da parte del Ministero dell’Interno e del Governo. vivono dentro un limbo di vita che non è vita, sotto un Programma di Protezione che non garantisce una sicura Protezione. Vivono sempre nell’incertezza, nella paura. È agghiacciante pensarci ogni momento ................................................
Io Antonino ho 52 anni, e io Francesca 50 anni. Entrambi, abbiamo deciso di scrivere questa lettera per far capire che la nostra vicenda è purtroppo è il continuo di una storia di mafia, drammaticamente vissuta sulla nostra pelle. Siamo diventati Testimoni Oculari di efferati delitti, e poi siamo stati gettati dentro un destino duro da sopportare. Abbiamo subito continui soprusi e sopraffazioni da parte di Cosa Nostra, e in seguito ci ha arrecato terrore fino a farci abbandonare il nostro lavoro, i nostri beni, conquistati con enorme fatica, con il sudore di tantissime giornate interminabili. Cosa Nostra fece diventare la zona antistante uno dei nostri due locali commerciali, teatro di rese di conti, di scontri violentissimi. Vedevamo con i nostri stessi occhi due esecuzioni crudeli di sventurate vittime. Infatti, il 17 marzo del 1996, un prima vittima fu uccisa da un killer davanti al nostro ristorante. Il sangue ci divenne di ghiaccio. Dopo soli circa quaranta giorni dal primo omicidio, la scena si ripeté il 27 aprile del 1996, quando un altro killer uccise un’altra vittima, ex agente della Guardia di Finanza in pensione (proclamato vittima della mafia). Noi rimanemmo ancora una volta paralizzati, immobili di fronte a quella scena, di cui divenivamo, nostro malgrado, Testimoni oculari. Il killer ci fissava negli occhi, certo del terrore che ci avrebbe trasmesso, certo dell'omertà che si sarebbe assicurato. La nostra vita era stata completamente travolta da questi due eventi.



Ma era troppo sopportare ancora quando siamo tornati nel locale per trovare tanti fiori sparsi per tutto il porticato. Non erano per le vittime, sono per noi. Ci convinciamo che quello non è più il nostro posto. Quello non era più il nostro ristorante e quella non era più la terra per la quale noi avevamo lasciato la Germania, perché era stata barbaramente torturata da balordi che l'avevano trasformata in un cimitero. Noi lasciavamo l'Italia, abbandonavamo i nostri due locali e andavamo all'estero. Però la mafia aveva sbagliato persone, perché, dopo aver abbandonato quel posto maledetto, eravamo sì in Germania. Che cosa potevamo fare? Però pochi giorni dopo, siamo ritornati in Italia per presentarci con il ruolo di Testimoni chiave presso la caserma dei carabinieri davanti alle autorità giudiziarie. Dicevamo tutto ai magistrati, fornendo testimonianze così impeccabili che sono in pratica mandati di cattura per Emanuele Radosta (guarda caso il compagno d’evasione nel 1994 del noto Max Leitner “il re delle fughe", tuttora da vari notizie su telegiornali e giornali è evaso per la quinta volta, http://archiviostorico.corriere.it/2004/ottobre/16/delle_evasioni_fuga_con_boss_co_9_041016002.shtml).


Nei vari processi, abbiamo fatto condannare all'ergastolo in soli tre anni con tre gradi di giudizio questi mafiosi. Grazie a noi Emanuele Radosta, solo per l’omicidio Calogero Tramuta, fu condannato a ventotto anni di carcere. Ma per lui non è finita. Una perizia dice che con la mitraglietta usata da Aziz per l'omicidio Tramuta Calogero, è stato ucciso nel 1992 anche Giuseppe Borsellino, imprenditore che stava indagando sull'uccisione del figlio Paolo, ammazzato solo otto mesi prima. Radosta è condannato ad altri trenta anni di carcere, per un totale di cinquantotto anni di condanna alla prigione. Ergastolo arriva anche per il killer marocchino Aziz, e un ulteriore ergastolo per l'altro killer che aveva commesso il primo omicidio, e altre varie condanne per altri membri della stessa cosca. Insomma, grazie a noi il clan mafioso capeggiato da Radosta, e l'altro di altri paesi, furono messi in ginocchio e schiacciato dalla Giustizia.


La nostra vita in una località segreta è da esiliati, dove si cessa per tanti anni della possibilità di essere cittadini normali, dove viviamo immani frustrazioni stando nell’anonimato, sotto falso nome, senza un lavoro, come tanti altri Testimoni di Giustizia, per aspettarsi solo un malessere quotidiano che dura da quasi quattordici anni, dopo aver preso una delle decisioni più difficili della nostra vita, così faticosa da prendere, così irrevocabile, così dolorosamente necessaria, per salvaguardarci da un imminente rischio di morte. E’ stato un obbligo accettare un sistema di protezione. Un sistema di Protezione, che ti fa sentire tante ansie, anche quando hai l’imbarazzo di trovarti di fronte a tanti problemi che questa vita singolare crudelmente ti regala.


Uno di questi problemi è sconfortante e penoso, perché quando succede di parlare con la gente, devi spiegare come ti paghi da vivere. E' incredibile come una delle domande più semplici e banali che le persone ti possano rivolgersi in una normale conversazione, si può trasformare in un ostacolo insormontabile, difatti un‘espressione di imbarazzo si dipinge sul nostro volto quando la domanda dell’altro che hai di fronte ti dice: "Che lavoro fate?" Ma purtroppo, noi non possiamo dichiarare la verità di due persone che non hanno lavorato per tantissimi anni, perché sono stati abituati a una un vita strana. Insomma, non possiamo avere una minima possibilità di socializzare, anche se la vita sociale è la base della sopravvivenza. Alla fine poco importa se nessuno resta ad ascoltarti. Poco importa se sei bloccato lì, come un fesso, tanto si sa che devi sperimentare anche questa dispiacere! Non puoi mai avere un attimo per cambiarti la vita, non puoi ricevere un piccolissimo sorriso e nemmeno una battuta, anche se il problema sta nel comprendere prima quanto valga la scelta del liberarsi di un peso chiuso nel tuo animo. Poco importa alla gente, se c'è chi si è visto portare via la casa e il lavoro da mafiosi e poi non può avere del tutto giustizia, perché ti può anche succedere un‘altra realtà più amara, e cioè che prima o poi un mafioso che hai fatto condannare all’ergastolo, può evadere (come è successo a noi realmente) o uscire per indulto da un momento all‘altro. Poco importa alla gente, chi può trovarsi da solo, a vivere senza una casa e sotto un ponte perché deve vedersi consegnare da altri la sfortuna addosso, anche da persone che non ti aspetti così ostinati, disumani nei tuoi confronti, autorevoli e membri del Parlamento o del Governo Italiano, che hai supplicato a lungo, e questi tengono sempre atteggiamenti irragionevoli nei tuoi confronti, non ti prendono mai in considerazione, insomma, per lo Stato siamo degli intralci. Invece siamo "Due Testimoni di Giustizia in una famiglia", solo per questo dovremmo essere largamente ammirati, anche perché siamo cittadini perbene, e non "pentiti di mafia", come certi parlamentari credono. Forse non serve nemmeno inginocchiarci davanti alle Istituzioni, supplicarli, purché ci conceda una vita normale e soprattutto dignità e il giusto diritto che da tanto tempo supplichiamo.


Purtroppo a tuttora noi non sappiamo, e nemmeno siamo ancora riusciti a trovare un perché a quello che è successo (e prendiamo un solo esempio su tantissime negatività che abbiamo subito), infatti, al Senato, mercoledì 18 giugno 2008, quando il senatore Mantovano, come rappresentante di Governo, comunicava a tutta l'assemblea dei legislatori di non poter accettare l'emendamento 10.0.400, una norma che, come proposta, secondo lui, rischiava di determinare un risultato esattamente opposto, perché´ rischiava di irrigidire l'inserimento nel lavoro dei Testimoni di Giustizia. Diceva d'essere disponibile – in nome del Governo – ad accogliere un ordine del giorno che invitava lo stesso a dare risposte ai testimoni di giustizia ma invitava a riflettere sulla circostanza che persone oneste che hanno rischiato e che rischiano ancora, hanno necessità di assoluta riservatezza, che sarebbe stata violata se fosse passato quell'emendamento. E così motivava il parere contrario del Governo sul punto specificato. Insomma, a suo modo di vedere era incostituzionale, perché violava la privacy e sicurezza del Testimone di Giustizia. Però sia il Ministro dell'Interno Roberto Maroni, sia anche il Sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano, non sanno quale inesistente sicurezza e privacy hanno i Testimoni di Giustizia; noi lo sappiamo perché dentro questo sistema ci siamo da tantissimo tempo. Ma quale sicurezza ci dà realmente lo Stato, se un Testimone di Giustizia in nome di essa non può svolgere alcun lavoro protetto, se con certezza viene svelata la sua località creduta inutilmente protetta, forse c’è solo la sicurezza di morir di fame! Comunque, anche noi abbiamo paura. Ogni giorno, la sicurezza dei Testimoni di Giustizia è minata da imminenti minacce di morte. Siamo purtroppo morti che camminano.


Abbiamo scritto , tramite e-mail, al Ministro dell'Interno Roberto Maroni, per ricevere almeno il diritto a delle risposte, anche come atto di coscienza e umanità. Volevamo da lui un parere. Nel frattempo, non avendo nessuna risposta, ci siamo permessi di cercarcela da soli. Abbiamo pensato se ci fossero dei seri provvedimenti del Governo in nostro favore e non ne abbiamo ancora né sentiti né trovati. Ci siamo chiesti poi quale era stato il motivo, per cui non è stato preso in considerazione nessun decreto, necessario per fare vivere una vita dignitosa a persone oneste (Testimoni di Giustizia), purtroppo siamo ancora fermi qui in questa che si crede località protetta ad aspettare una piccola risposta. Il Ministro dell'interno Roberto Maroni non ha ancora illustrato se l’essere Testimoni di Giustizia significhi essere figli illegittimi di questo Stato Italiano. Egli, come rappresentante del Governo ha solo un dovere, non quello di illustrare per convenienza, come ha fatto sul Corriere della Sera, su due soli "casi" di “Testimoni di Giustizia” che hanno avuto, come dice lui, i giusti diritti, sicurezza e giustizia. Il Ministro Maroni, in quella sede, doveva parlare, e ci sembra più giusto, dei problemi di tutti i testimoni di Giustizia, che di giustizia e diritti non hanno mai avuto il minimo sentore. Insomma, da parte del Ministro dell'Interno Roberto Maroni, non sono state illustrate le tante ingiustizie che hanno subito tanti altri Testimoni di Giustizia, chi fuori e chi dentro il Programma di Protezione. E poi, non abbiamo capito per quale motivo non ha illustrato anche il nostro caso (abbastanza drammatico), visto che per diverse volte, ed è abbastanza provato, anche la Commissione Centrale ci ha fatto disperare e vivere le pene dell‘inferno per tantissimi anni. In sostanza abbiamo ricevuto solo negatività su tutti i fronti solo perché volevamo i nostri legittimi diritti. Per questo motivo abbiamo sentito il dovere di farci avanti, di continuare strenuamente a chiedere giustizia al TAR del Lazio, perché è solo Giustizia che vogliamo.


E' nostro dovere continuare a combattere, affinché la nostra continua delusione non si ripeta ancora. Non dobbiamo subire qualcosa che non meritiamo, non possiamo essere privati ancora per molto dei nostri diritti. Abbiamo subito un'ingiustizia, però noi non abbiamo mai fatto qualcosa di sbagliato, piuttosto abbiamo fatto solo il nostro dovere! Perché dobbiamo sempre pagare, che cosa abbiamo fatto di male? Ce lo siamo chiesti milioni di volte! Non è scritto da nessuna parte che dovevamo pagare prima per colpa della mafia e poi per uno Stato indifferente e ingiusto nei nostri confronti. Non è nella nostra concezione di giustizia essere sempre incapaci di ottenerla. Noi pensiamo che ci debba essere una debole speranza per una famiglia che ha posto tanta fiducia allo Stato italiano. La possibilità, dopo tanti anni, di poter passare felicemente un nuovo Anno, il desiderio di un lavoro per la nostra famiglia, anche per farci dimenticare non diciamo del tutto, ma una parte dell’incubo che sopravvive in noi da quando abbiamo fatto quel dovere civico che nessuno vuol fare, il dovere di denunciare la mafia, e poi entrare in un Programma di Protezione. La nostra famiglia ha visto e vive tuttora parecchie malattie, e tollera ancora un Sistema lacunoso in tutti i sensi.


Tuttavia possiamo dire che crediamo nella Giustizia, nonostante tutto, sappiamo che la Giustizia ha anche un cuore che si deve aprire, anche per darci appoggio non solo morale ma anche comprensione. Non vogliamo essere condannati a una vita miserabile, sarebbe immorale per tutta la famiglia. Questo Sistema ci ha inflitto qualcosa di terribile, che pagheremo per tutta la vita: la perdita della salute e della vita. Solo la Giustizia può darci la giustizia e la libertà che avevamo una volta. Speriamo di non scontare una tortura ingiusta, perché ci seguirà per tutta la nostra vita. Come si fa a vivere con questa condanna ingiusta sulle spalle? Ma noi nonostante tutte i tormenti, crediamo che è meglio continuare a lottare, purché ci sia almeno alleviata un po' la sofferenza. Soffriamo da lunghissimi anni unitamente alle nostre figlie la depressione. I tanti disagi che sono capitati alla nostra famiglia e soprattutto alle nostre figlie non sono stati così facili da superare. Le cose più penose sono state quando le nostre figlie si sono separate dai loro affetti familiari, dalla loro terra e insieme entrati in un Programma di Protezione. Cambiare località, andare in scuole diverse da quelle cui erano abituate. E noi prima di mandarle a scuola dicevamo loro: "State attente a quello che dovete dire!" Ringraziamo Dio di averci dato due figlie meravigliose e responsabili. Non è facile spiegare a una bambina di nove e l'altra di quattro anni: "Dovete stare attente a non dire il vostro vero cognome, perché le persone cattive ci possono rintracciare e possono farci del male". Non è stato neanche facile spiegare in parole semplici il motivo di queste bugie, anche se dette a fin di bene. Adesso sono diventate più grandi, capiscono meglio la situazione, e ci dicono: "Avete fatto la cosa giusta, dovete lottare!" Però, nei momenti più difficili ci chiediamo: "Ma abbiamo veramente fatto la cosa giusta, ma che cosa abbiamo fatto di male per meritarci questo calvario, e perché fino ad adesso non abbiamo avuto nessun aiuto dallo Stato Italiano, se in fin dei conti per questo Stato siamo solo dei numeri e non delle persone da ricordare per quello che abbiamo fatto?".


Non lavoriamo da quasi quattordici anni. E sicuramente non ci daranno un’adeguata pensione per sopravvivere. Non possiamo dare alle nostre carissime figlie una vita normale e sicuramente da vecchi avremo bisogno di loro. Ci sentiamo in colpa per aver tolto alle nostre figlie la libertà, che hanno le altre ragazze della loro età. Non potranno sentirsi libere di andare a trovare le cugine, gli zii, e vedere il ricordo dei nonni, perché questa libertà è stata loro tolta. Hanno dovuto rinunciare a tante cose. Purtroppo questi desideri non potevano realizzarli, perché era impossibile. Ora lasciamo immaginare la delusione di nostra figlia, dover giustificare a persone che conosceva o amici quale era il motivo per cui non poteva più andare in alcuni luoghi. Era una difficoltà deprimente, giustificare e raccontare solo menzogne. Nei giorni a seguire, mia figlia stava sempre malissimo, piangeva e si disperava. Costernazione, che ha avuto tante altre volte per altri strambi motivi anche quando cambiava località. Sua sorella, la più piccola ha sofferto anche lei i molti cambiamenti, che le hanno segnato la salute. È stata per due volte all'ospedale per anoressia nervosa nell’Agosto 2002 per dieci giorni, in seguito ritornava perché ancora più grave, per essere ricoverata per due settimane nel maggio 2004. È seguita tuttora dalla psicologa, prende sempre medicine per la depressione. Ha avuto problemi a integrarsi nelle scuole, come anche nello studio della maggior parte delle materie (e pensare che prima di sprofondare nella malattia, nei primi anni della scuola elementare andava benissimo). Brutta cosa è essere consapevole di non essere libero di poter scendere in Sicilia per vedere la tomba del tuo genitore. Questa purtroppo è la singolarità di chi collabora con la giustizia.


I Testimoni di Giustizia sono persone emarginate, perché è così: noi non risultiamo da nessuna parte. Sono persone invisibili in mezzo alla gente normale. Doveva essere un modello, la vita che sognano, però purtroppo vivono passivamente regole imposte da altri. Regole che non si possono più accettare, ma che purtroppo devono ancora subire, perché non sono più condivise, invece devono per forza sopportate a malincuore e con obbligata rassegnazione. La classe politica italiana non ha coraggio di spendersi in una battaglia per dare dignità a tutti i Testimoni di Giustizia; i politici dicono solo parole e dopo non ottimizzano le leggi sui Testimoni di Giustizia. Basta vedere la Relazione sui Testimoni di Giustizia, redatta dalla Coordinatrice del Comitato Antimafia sui Testimoni di Giustizia On. Angela Napoli. E poi ce n'è ora una di leggina, che sciaguratamente non è nemmeno rispettata, perché non può servire ai Testimoni di Giustizia, ma doveva servire solo ai pentiti di mafia, approfittatori della situazione favorevole dettata dalla stessa legge n. 45, che riserva a loro generosi premi; “tagli agli ergastoli“, come anche sostanziose somme per acquistarsi attività commerciali e addirittura ville, per realizzarsi una continuazione del vivere sempre e ancora da mafiosi potenti. Al contrario, la Commissione Centrale ex art. 10 del Ministero dell’Interno non considera affatto i Testimoni; non hanno mai rispettato la legge n. 45 del 2001, facendo un torto a se stessi, soprattutto alla loro coscienza, prendendo provvedimenti al di fuori delle regole della legalità, quando tutti loro sanno bene che questa legge é stata votata dalla stragrande maggioranza del Parlamento. Probabilmente per la Commissione Centrale ex art. 10, non è necessario applicare la legge, e nemmeno per i cosiddetti Pentiti, che si sono fatti valere dai politici, perché forse il peso che si sono liberati dalla loro coscienza era più grande. Mah, chissà se è veramente grande come vogliono far credere! Però é logica la disapprovazione per questa controversia nei confronti dei Testimoni, è un vero e proprio accanimento ossessivo e soprattutto offensivo, tanto che ha fatto continuare la vita da esiliati ancor più pesante, come continuazione di un calvario che ha veramente dell'incredibile.


Aspettiamo legittima giustizia, dignità e libertà, perché vogliamo reintegrarci dal punto di vista sociale. Il Ministero dell’Interno e lo Stato Italiano, se non fanno vincere le giuste battaglie contro la mafia, piuttosto scoraggiano i Testimoni, perché gli tolgono la fiducia e poi li lasciano in disparte negandogli quel pezzo di pane che gli aveva estorto la mafia. I Testimoni di Giustizia vivono la solitudine, che li frena ogni qualvolta ci affacciamo alla vita, per inserirsi in questa società normale, ma con false maschere. Probabilmente non è adatta a loro. E come se la maggior parte della società ci mandasse fuori a calci nel sedere. Anche perché i Testimoni sono effettivamente così! Non possono essere diversamente, dato che questa strana vita non li vuole in altro modo. Non sappiamo chi siamo? Se siamo qualcosa, se non addirittura qualcuno, se ci saranno personalità che ci aiuteranno o per lo meno pensarci ancora e magari commiserarci?


La pesante vita trascorsa sotto un Programma di protezione ci trasforma in vittime di questo Sistema regalato dallo Stato. Per questo c’è amarezza, insoddisfazione e frustrazione, perché si pensa alla condizione squallida che qualcuno ci vuole far passare a vita credendo che funzioni meglio, mentre si vive chiusi in un limbo a soffrire le pene dell‘inferno. È un fallimento altrettanto forte viverci dentro. Tutto è fallito, e certe volte si ha voglia di andare via da questo mondo crudele, dalla paura di questo inferno.






Grazie ancora.


Vi mandiamo i più cordiali saluti.


Antonino e Francesca

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