E' molto peggio, è molto di più.
Registriamo con piacere lo sdegno di una nota firma del Resto del Carlino, che certamente non è un foglio comunista.
di Xavier Jacobelli
C'è sempre un 10 giugno di troppo nella nostra storia. Settant'anni fa, come oggi, Benito Mussolini e il suo regime fascista portavano l'Italia in guerra, trascinandola in una catastrofe immane. Settant'anni dopo, nello stesso giorno, ricorrendo al voto di fiducia n.34 di questa legislatura in cui dispone della più ampia maggioranza parlamentare, il governo ha approvato la Legge del Tappo alla libertà di stampa: viola diversi articoli della costituzione, pone una pietra tombale sui servizi giornalistici relativi a decine di inchieste che riguardano gli obbrobri di una classe politica inetta e marcia, massacra il lavoro dei cronisti e degli editori con le intimidazioni, la galera e le multe sino a 500 mila euro, nega il diritto dei cittadini alla massima informazione, condiziona pesantemente il lavoro della magistratura e della polizia giudiziaria. Con la scusa della tutela della privacy e delle altre balle, propalate ad arte dalla Casta, lato B (inteso come Berlusconi, of course) oggi il Senato della Repubblica ha varato un provvedimento anticostituzionale e antidemocratico, contro il quale l'opposizione in ogni sede e con ogni iniziativa consentita dalla legge, non deve essere dura. Deve essere durissima per spaccare i timpani a chi sta sghignazzando poichè pensa di averla definitivamente sfangata. Adesso più che mai bisogna esercitare il diritto di ribellarsi a questa nuova, incommensurabile porcata. Guarda caso, proprio oggi, per non rispondere alle domande dei cronisti, all'inizio della conferenza-stampa congiunta il capo del governo italiano ha piantato in asso il capo del governo spagnolo in visita a Roma. Va bene che siamo abituati ai cucù alla Merkel, alle corna nelle foto di gruppo dei vertici internazionali, agli ululati di richiamo a Obama a Buckingham Palace, alle barzellette sparate ad alzo zero, ma, come giornalisti e come cittadini, ci siamo rotti le scatole di questo modo di fare di stampo birmano-nordcoreano, quasi che nella tricolore repubblica delle banane avessero diritto di cittadinanza solo gli zerbini e i velinari. Così, prima ancora che la Camera vari questa legge che avrebbe inorgoglito Mussolini e Stalin, confidiamo più che mai nel Capo dello Stato. Se lui non firma, quelli sbarellano.
C'è sempre un 10 giugno di troppo nella nostra storia. Settant'anni fa, come oggi, Benito Mussolini e il suo regime fascista portavano l'Italia in guerra, trascinandola in una catastrofe immane. Settant'anni dopo, nello stesso giorno, ricorrendo al voto di fiducia n.34 di questa legislatura in cui dispone della più ampia maggioranza parlamentare, il governo ha approvato la Legge del Tappo alla libertà di stampa: viola diversi articoli della costituzione, pone una pietra tombale sui servizi giornalistici relativi a decine di inchieste che riguardano gli obbrobri di una classe politica inetta e marcia, massacra il lavoro dei cronisti e degli editori con le intimidazioni, la galera e le multe sino a 500 mila euro, nega il diritto dei cittadini alla massima informazione, condiziona pesantemente il lavoro della magistratura e della polizia giudiziaria. Con la scusa della tutela della privacy e delle altre balle, propalate ad arte dalla Casta, lato B (inteso come Berlusconi, of course) oggi il Senato della Repubblica ha varato un provvedimento anticostituzionale e antidemocratico, contro il quale l'opposizione in ogni sede e con ogni iniziativa consentita dalla legge, non deve essere dura. Deve essere durissima per spaccare i timpani a chi sta sghignazzando poichè pensa di averla definitivamente sfangata. Adesso più che mai bisogna esercitare il diritto di ribellarsi a questa nuova, incommensurabile porcata. Guarda caso, proprio oggi, per non rispondere alle domande dei cronisti, all'inizio della conferenza-stampa congiunta il capo del governo italiano ha piantato in asso il capo del governo spagnolo in visita a Roma. Va bene che siamo abituati ai cucù alla Merkel, alle corna nelle foto di gruppo dei vertici internazionali, agli ululati di richiamo a Obama a Buckingham Palace, alle barzellette sparate ad alzo zero, ma, come giornalisti e come cittadini, ci siamo rotti le scatole di questo modo di fare di stampo birmano-nordcoreano, quasi che nella tricolore repubblica delle banane avessero diritto di cittadinanza solo gli zerbini e i velinari. Così, prima ancora che la Camera vari questa legge che avrebbe inorgoglito Mussolini e Stalin, confidiamo più che mai nel Capo dello Stato. Se lui non firma, quelli sbarellano.
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